Mele, pesche, uva, ciliegie, cocomero sono tutti frutti che contengono semi.
Le piante, infatti, producono i loro frutti al solo scopo di
proteggere e diffondere i loro semi che, se non fossero ben protetti,
difficilmente riuscirebbero a realizzare lo scopo per il quale sono
stati creati: perpetuare la specie.
In ogni seme si distinguono embrione, albume e tegumenti. L’embrione è
la parte essenziale del seme, in sostanza è una pianta in miniatura: è
composto da una radichetta, un fusto e uno o due abbozzi fogliari detti
coetiledoni. L’albume è la sostanza di riserva destinata a nutrire
l’embrione al momento della germinazione, mentre i tegumenti formano la
buccia del seme ed hanno lo scopo di proteggere il seme e a volte di
favorirne la dispersione.
Il seme, quindi, è la parte della pianta atta a garantire la
sopravvivenza della specie e conserva la propria germinabilità per un
tempo che varia da specie a specie. Alcuni devono germinare appena
staccati dalla pianta altrimenti muoiono (come i semi di salice), altri
si conservano molto più a lungo (come i semi che contengono sostanze
amidacee, ad esempio il grano), altri sono molto più longevi (i semi di
trifoglio).
Ma quand’è che un seme, invece, decide che ci sono le condizioni giuste per germinare?
Questo piccolo concentrato di vita, ai nostri occhi, sembra una cosa
secca, morta. Invece esso continua a respirare e contiene una piccola
percentuale di acqua che gli permette di aspettare, quiescente, le
condizioni adatte per germinare. Esse sono: presenza di ossigeno (il
quale permette di demolire il glucosio e partecipa al processo di
fotosintesi assieme alla luce); luce (che, come prima citato, è
necessaria al processo di fotosintesi); acqua (la quale permette di
riprendere i processi metabolici sospesi ed, in tal modo, è possibile la
crescita dell’embrione); infine la temperatura.
Un seme maturo, quindi, posto in un terreno umido con una temperatura
adatta, germina: innanzitutto assorbe acqua con la quale si compiono
nell’embrione complesse reazioni chimiche, alcune sostanze si
trasformano in altre che servono all’embrione per costruire le cellule e
svilupparsi. Mentre il seme assorbe acqua, si gonfia fino a rompere il
tegumento che lo avvolge ed è pronto a germinare: attraverso la
spaccatura esce la radichetta, e anche il fusticino si allunga ed esce
dalla terra e si dirige verso l’alto, verso la luce. I cotiledoni
assorbono il nutrimento dall’albume e cominciano ad aprirsi, dando luogo
alle prime due foglioline attraverso le quali la piccola piantina
comincerà a fotosintetizzare e a nutrirsi da sola.
L’energia che il seme crea, per dar vita al fenomeno della
germinazione, si chiama energia germinativa: essa è limitata e
sufficiente a permettere alla piantina di uscire dal seme e di sbucare
dal terreno per alimentarsi, poi, da sola.
Ma come facciamo a capire a che profondità possiamo mettere il seme?
Solitamente si considera come profondità massima il doppio della
lunghezza del seme stesso: il rischio, se lo mettiamo troppo in
profondità, è che la piantina, grazie all’energia germinativa, si
sviluppi, ma non abbastanza da sbucare in superficie.
E per finire, un sorriso: il frutto della Lodoicea maldivica, una palma conosciuta anche con il nome di coco de mer,
ha un diametro di 50 cm e pesa dai 15 ai 22 kg e contiene il seme più
grosso del mondo. La sua particolarità è quella di assomigliare al
sedere di una donna.
Anche questa volta la Natura ha giocato d’anticipo: la velina vegetale l’ha inventata prima Lei…
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