Di questi tempi, in cui si parla tanto di fabbriche in crisi, di
cassa integrazione, di economia che rallenta, curiosiamo in una
tipologia di fabbrica diversa, che non tutti conoscono: la biofabbrica.
E’ una struttura in cui si produce un particolare prodotto, gli
organismi viventi, cioè insetti da liberare nell’ambiente, per lo più in
serre e campi coltivati nell’ambito delle tecniche di lotta biologica e
lotta integrata.
La prima biofabbrica è stata “inventata” da un grande etologo (colui
che studia gli insetti), Giorgio Celli, che qualcuno si ricorderà per
aver condotto, tra le tante cose di cui si occupa, una trasmissione
sugli animali negli anni 90.
Come spesso accade, si vuole una trovata geniale per provare a
risolvere in modo azzeccato un problema, come ad esempio quello dei
trattamenti chimici in agricoltura.
Ecco cosa ha pensato di fare Celli.
Solitamente, la maggior parte delle piante che coltiviamo in pieno
campo, nelle serre, negli orti vengono trattate con sostanze chimiche
per proteggerle dai parassiti o dalle malattie fungine.
Esistono tecniche che si affiancano all’agricoltura tradizionale,
come la lotta biologica e la lotta integrata, che prevedono una drastica
riduzione dell’uso di fitofarmaci mettendo in atto diversi accorgimenti
e che hanno come obiettivo il mantenere la qualità del prodotto senza
ricorrere, o ricorrere in parte, ai trattamenti.
La lotta biologica sfrutta l’antagonismo che è presente in Natura fra
esseri viventi per contenere la popolazione dannosa: essa non abbatte
la popolazione di un organismo dannoso, bensì la mantiene entro livelli
tali da non costituire un danno rilevante.
La lotta integrata, invece, è la più applicata e consiste nel
liberare periodicamente degli esemplari di una specie già presenti
naturalmente nell’ecosistema in modo da rimpinguare la popolazione e
controllare lo sviluppo numerico del parassita.
Capito l’ambito in cui ci muoviamo, possiamo afferrare a pieno l’idea
di Celli: ha pensato bene di applicare su larga scala quello che la
Natura stava già facendo, cioè “generare” insetti utili, dal
confezionamento del prodotto, allo stoccaggio e alla distribuzione
commerciale.
Per prodotto, ovviamente, si intende un insetto o le sue uova pronte a schiudersi!
I prodotti forniti dalle biofabbriche, infatti, sono organismi
viventi che rientrano nelle seguenti tipologie: insetti pronubi (api e
bombi) che servono ad impollinare e quindi a fecondare le piante,
predatori di artropodi dannosi, parassitoidi e parassiti che si nutrono
di larve di insetti che noi consideriamo dannosi: gli adulti della
coccinella, ad esempio, sono carnivori e si nutrono di afidi.
Un altro insetto utilizzato per il controllo degli afidi è la
Chrysoperla carnea, un neurottero appartenente alla famiglia dei
Crisopidi.
La biofabbrica di Cesena ha iniziato la sua attività negli anni 90,
ed è stata la prima vera biofabbrica in Italia per la produzione di
insetti ausiliari, ma l’idea è stata portata avanti in questi anni anche
da altre biofabbriche sparse in Europa.
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sabato 30 giugno 2012
martedì 19 giugno 2012
LE PERLE
Le perle sono un prodotto di scarto della Natura. Proprio così.
Sono prodotte da alcuni molluschi marini o di acqua dolce che le realizzano con gli stessi materiali con cui si fanno la conchiglia, la madreperla.
Se un corpo estraneo si insinua nel mollusco, nel tentativo di alleviare l’irritazione il mollusco per proteggersi cerca di neutralizzare l’intruso avvolgendolo nella madreperla, si forma il cosiddetto “sacco perlifero” che ingloba l’impurità ricoprendola ad intervalli che si susseguono nel tempo. Per questo la perla aumenta di dimensione con il passare del tempo e raggiunge la massima dimensione dopo 5-10 anni di permanenza all’interno del mollusco.
Potenzialmente tutti i molluschi possono produrre perle, ma le più belle sono prodotte dal genere Pinctada, la cui conchiglia é simile a quella delle ostriche. In Giappone e Cina si coltivano le perle più lucenti, quelle provenienti dai mari del Sud sono apprezzate per la loro rarità e grandi dimensioni, le perle nere della Polinesia francese sono estremamente pregiate per il loro esclusivo colore nero e le grandi dimensioni, mentre le perle di acqua dolce sono facilmente prodotte nelle acque dolci di tutto il mondo, sono meno lucenti delle perle coltivate marine ed il prezzo modico indica la loro facile coltivazione.
Perle perfettamente sferiche sono ovviamente le più ambite e dato che si tratta di un prodotto della Natura, la maggior parte di esse è caratterizzata da forme irregolari
I molluschi perliferi si localizzano nel mar Rosso, Madagascar, Sri Lanka, Australia, Stati Uniti, Polinesia, Giappone, Malesia, Filippine e America Centro-Meridionale, ma ne esistono varietà anche nella zona della Sardegna, della Corsica e nel mar Mediterraneo. Esistono anche zone di acqua dolce che brillano per la produzione di perle, come i laghi della Cina,
La preziosità della perla è data dalle dimensioni ma anche dal colore, che varia dal bianco latte al rosato, al bianco bruno, all’argento, alle bellissime perle nere. Ancora non si è certi della causa che lo determina, alcuni studiosi danno la “colpa” alla natura della sostanza estranea penetrata nel mollusco, altri alla salinità dell’acqua, altri agli elementi disciolti in essa.
La scoperta delle perle all’interno di molluschi destò in passato grande meraviglia, oltre che per la loro bellezza, soprattutto perché non si capiva come potesse esserci entrata quella gemma in una conchiglia e specialmente da dove potesse venire, visto che in mare nessuno aveva mai trovato perle sparse nelle profondità marine.
La scoperta del mistero si ebbe grazie alla curiosità di studiosi del sedicesimo secolo che capirono il meccanismo di formazione delle perle.
E come sempre, una volta scoperto il trucco, l’uomo si è dato da fare per copiare la Natura a suo vantaggio. Capito il processo di formazione della perla, ecco i primi tentativi di introdurre artificialmente corpi estranei nel mollusco, ma ci sono voluti tanti sforzi ed esperimenti per arrivare alla qualità dell’attuale produzione di perle coltivate.
Innanzitutto le dimensioni del corpo estraneo da inserire devono essere davvero modeste, con le difficoltà che ne conseguono. Inoltre, trattandosi di un corpo estraneo all’animale, spesso il tasso di mortalità è davvero elevato. Oggi siamo riusciti a selezionare le specie più adatte all’inserimento di un nucleo estraneo, ed ottenere una bassa proporzione di rigetto.
Una particolarità: nel Medio Evo si credeva che le perle avessero proprietà mediche,
le si polverizzava e le si scioglieva nell’aceto per curare l’ulcera duodenale.
Per fortuna oggi conosciamo ben altri rimedi medici, e le perle le possiamo indossare come magnifici ornamenti.
Sono prodotte da alcuni molluschi marini o di acqua dolce che le realizzano con gli stessi materiali con cui si fanno la conchiglia, la madreperla.
Se un corpo estraneo si insinua nel mollusco, nel tentativo di alleviare l’irritazione il mollusco per proteggersi cerca di neutralizzare l’intruso avvolgendolo nella madreperla, si forma il cosiddetto “sacco perlifero” che ingloba l’impurità ricoprendola ad intervalli che si susseguono nel tempo. Per questo la perla aumenta di dimensione con il passare del tempo e raggiunge la massima dimensione dopo 5-10 anni di permanenza all’interno del mollusco.
Potenzialmente tutti i molluschi possono produrre perle, ma le più belle sono prodotte dal genere Pinctada, la cui conchiglia é simile a quella delle ostriche. In Giappone e Cina si coltivano le perle più lucenti, quelle provenienti dai mari del Sud sono apprezzate per la loro rarità e grandi dimensioni, le perle nere della Polinesia francese sono estremamente pregiate per il loro esclusivo colore nero e le grandi dimensioni, mentre le perle di acqua dolce sono facilmente prodotte nelle acque dolci di tutto il mondo, sono meno lucenti delle perle coltivate marine ed il prezzo modico indica la loro facile coltivazione.
Perle perfettamente sferiche sono ovviamente le più ambite e dato che si tratta di un prodotto della Natura, la maggior parte di esse è caratterizzata da forme irregolari
I molluschi perliferi si localizzano nel mar Rosso, Madagascar, Sri Lanka, Australia, Stati Uniti, Polinesia, Giappone, Malesia, Filippine e America Centro-Meridionale, ma ne esistono varietà anche nella zona della Sardegna, della Corsica e nel mar Mediterraneo. Esistono anche zone di acqua dolce che brillano per la produzione di perle, come i laghi della Cina,
La preziosità della perla è data dalle dimensioni ma anche dal colore, che varia dal bianco latte al rosato, al bianco bruno, all’argento, alle bellissime perle nere. Ancora non si è certi della causa che lo determina, alcuni studiosi danno la “colpa” alla natura della sostanza estranea penetrata nel mollusco, altri alla salinità dell’acqua, altri agli elementi disciolti in essa.
La scoperta delle perle all’interno di molluschi destò in passato grande meraviglia, oltre che per la loro bellezza, soprattutto perché non si capiva come potesse esserci entrata quella gemma in una conchiglia e specialmente da dove potesse venire, visto che in mare nessuno aveva mai trovato perle sparse nelle profondità marine.
La scoperta del mistero si ebbe grazie alla curiosità di studiosi del sedicesimo secolo che capirono il meccanismo di formazione delle perle.
E come sempre, una volta scoperto il trucco, l’uomo si è dato da fare per copiare la Natura a suo vantaggio. Capito il processo di formazione della perla, ecco i primi tentativi di introdurre artificialmente corpi estranei nel mollusco, ma ci sono voluti tanti sforzi ed esperimenti per arrivare alla qualità dell’attuale produzione di perle coltivate.
Innanzitutto le dimensioni del corpo estraneo da inserire devono essere davvero modeste, con le difficoltà che ne conseguono. Inoltre, trattandosi di un corpo estraneo all’animale, spesso il tasso di mortalità è davvero elevato. Oggi siamo riusciti a selezionare le specie più adatte all’inserimento di un nucleo estraneo, ed ottenere una bassa proporzione di rigetto.
Una particolarità: nel Medio Evo si credeva che le perle avessero proprietà mediche,
le si polverizzava e le si scioglieva nell’aceto per curare l’ulcera duodenale.
Per fortuna oggi conosciamo ben altri rimedi medici, e le perle le possiamo indossare come magnifici ornamenti.
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